Circolare 2/2015 del Ministro per la semplificazione e la P.A
Abolizione dell'istituto del trattenimento in servizio oltre i limiti di età (d.l. 90/14 convertito nella l. 114/14) - La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro

In alcune ipotesi l'amministrazione è tenuta a proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente e tale prosecuzione non costituisce un trattenimento vietato dalla legge. Ciò si verifica quando il dipendente non matura alcun diritto a pensione (la totalizzazione di 20 anni di contributi) al compimento dell'età limite ordinamentale o al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. (comunque non oltre i 70 anni)

A decorrere dall'anno 2014, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro può trovare applicazione nei confronti dei lavoratori che maturano 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva e compiono 62 anni di età e delle lavoratrici che maturano 41 anni e 6 mesi di anzianità contributiva e compiono 62 anni di età. Non è più possibile procedere in regime ordinario alla risoluzione unilaterale nei confronti dei dipendenti che compiono i 40 anni di anzianità contributiva (tranne che nel caso di ricorso ai pensionamenti in deroga per soprannumero, per i quali continuano ad applicarsi le disposizioni anteriori al decreto legge n. 201/2011). .

 

 

l Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione

Alle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001

Alle autorità indipendenti

SEDI

Circolare n. 2/2015

Soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro - Interpretazione e applicazione dell'articolo 1 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114

Indice:

Finalità della disciplina
La soppressione del trattenimento in servizio
2.1. Il limite ordinamentale per la permanenza in servizio

2.2. La disciplina transitoria

2.3. Le ipotesi di prosecuzione del rapporto di lavoro

2.3.1. Il mancato raggiungimento del minimo contributivo

2.3.2. Il regime speciale dei dirigenti medici e del ruolo sanitario

La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro
3.1. Le novità della disciplina

3.2. Regimi speciali

1. Finalità della disciplina
L'articolo 1 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, ha abrogato l'articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503, che conteneva la disciplina generale dell'istituto del trattenimento in servizio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, e ha riformulato il comma 11 dell'articolo 72 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, in materia di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro da parte delle pubbliche amministrazioni stesse. L'istituto del trattenimento in servizio è stato conseguentemente soppresso, mentre l'ambito della risoluzione unilaterale è stato ridefinito.

L'intervento legislativo è volto a favorire il ricambio e il ringiovanimento del personale nelle pubbliche amministrazioni. Con l'entrata in vigore delle recenti modifiche il sistema prevede la risoluzione del rapporto di lavoro: obbligatoria, per coloro che hanno maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia ovvero il diritto alla pensione anticipata, avendo raggiunto l'età limite ordinamentale; rimessa alla determinazione dell'amministrazione, per coloro che hanno maturato il diritto alla pensione anticipata secondo i requisiti di cui all'articolo 24, commi 10 e 12, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, aggiornati con l'adeguamento alla speranza di vita, e senza penalizzazione del trattamento, tenuto anche conto di quanto previsto dall'articolo 6, comma 2-quater, secondo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come modificato dall'articolo 1, comma 113, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.

La presente circolare è emanata d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali.

2. La soppressione del trattenimento in servizio

2.1. Il limite ordinamentale per la permanenza in servizio.

Va ricordato che il limite ordinamentale per la permanenza in servizio è fissato, in via generale, dall'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092, per i dipendenti dello Stato, e dall'articolo 12 della legge 20 marzo 1975, n. 70, per i dipendenti degli enti pubblici; tale limite è applicabile in via analogica anche alle altre categorie di dipendenti pubblici in mancanza di diversa previsione normativa. Come precisato dall'articolo 2, comma 5, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, che ha fornito l'interpretazione autentica dell'articolo 24, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge n. 201 del 2011, nei casi di cui allo stesso articolo 24, comma 4, tale limite non è modificato dall'elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia dall'articolo 24, comma 6, del citato decreto-legge n. 201 del 2011. Rimangono salvi i diversi limiti già stabiliti da norme speciali per particolari categorie di dipendenti (per esempio, il compimento del settantesimo anno di età per i magistrati, gli avvocati e procuratori dello Stato e per i professori universitari ordinari, in base rispettivamente all'articolo 5 del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, all'articolo 34 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 e all'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382). Si veda, al riguardo, la circolare del Dipartimento della funzione pubblica n. 2 del 2012.

2.2. La disciplina transitoria

Il comma 2 del citato articolo 1 del decreto-legge n. 90 del 2014 ha fatto salvi i trattenimenti in servizio in essere sino alla data del 31 ottobre 2014 o a data antecedente se prevista nel provvedimento: essendo già scaduto questo termine, i trattenimenti non possono proseguire. A tal fine, si considerano in essere i trattenimenti già disposti ed efficaci. I trattenimenti già accordati ma non ancora efficaci al 25 giugno 2014 (data di entrata in vigore del decreto-legge) si intendono revocati ex lege.

I successivi commi 3 e 3-bis dell'articolo 1 contengono una disciplina speciale, finalizzata a salvaguardare la funzionalità degli uffici giudiziari e la continuità didattica. In base a questa disciplina, la data limite per l'efficacia dei trattenimenti in servizio, seppure ancora non disposti, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari è il 31 dicembre 2015, data oltre la quale coloro che ne stiano fruendo devono essere collocati a riposo. Per tali categorie di personale, pertanto, è ancora possibile disporre il trattenimento, che non potrà avere durata tale da superare la predetta data.

La disposizione del comma 3-bis, relativa al personale della scuola, ha esaurito i suoi effetti il 31 agosto 2014. Nessun dipendente del comparto scuola, quindi, può trovarsi ancora in servizio in virtù del trattenimento eventualmente operato.

2.3. Le ipotesi di prosecuzione del rapporto

2.3.1. Il mancato raggiungimento del minimo contributivo

In alcune ipotesi l'amministrazione è tenuta a proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente e tale prosecuzione non costituisce un trattenimento vietato dalla legge.

Ciò si verifica, innanzitutto, quando il dipendente non matura alcun diritto a pensione al compimento dell'età limite ordinamentale o al compimento del requisito anagrafico per la pensione di vecchiaia. In tali casi, come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale, sentenze n. 33 del 2013 e n. 282 del 1991), l'amministrazione deve proseguire il rapporto di lavoro con il dipendente oltre il raggiungimento del limite per permettergli di maturare i requisiti minimi previsti per l'accesso a pensione non oltre il raggiungimento dei 70 anni di età (limite al quale si applica l'adeguamento alla speranza di vita).

Per valutare la sussistenza del requisito contributivo minimo per il diritto a pensione e, quindi, la possibilità della risoluzione del rapporto di lavoro, dovranno essere considerati il rapporto di lavoro in essere con l'amministrazione e gli eventuali precedenti rapporti di lavoro, a cui corrispondano contributi versati presso le diverse gestioni previdenziali. Infatti, se il totale dei 20 anni, previsto dall'articolo 24, comma 7, del citato decreto-legge n. 201 del 2011, è raggiunto attraverso la somma di anzianità contributive relative a diverse gestioni previdenziali, il dipendente potrà accedere all'istituto gratuito della totalizzazione, di cui al decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, o a quello del cumulo contributivo, di cui all'articolo 1, commi 238-248, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che gli permetteranno di conseguire il requisito contributivo minimo. Va segnalato che, ai fini del collocamento a riposo attraverso l'istituto della totalizzazione, si deve tener conto del vigente regime delle decorrenze (art. 5, comma 3, del citato decreto legislativo n. 42 del 2006) e, pertanto, secondo il principio generale, il rapporto di lavoro dovrà proseguire sino alla maturazione della decorrenza per evitare cesure tra trattamento retributivo e trattamento pensionistico. Per coloro che abbiano il primo accredito contributivo a decorrere dal 1° gennaio 1996, peraltro, il collocamento potrà essere disposto solo se l'importo della pensione non risulterà inferiore all'importo soglia di 1,5 volte l'assegno sociale annualmente rivalutato (ai sensi dell'articolo 24, comma 7, del citato decreto legge n. 201 del 2011).

Se, invece, anche considerando tutti i periodi contributivi, il dipendente non raggiungerà il minimo di anzianità contributiva entro il raggiungimento dell'età anagrafica per la pensione di vecchiaia prevista dall'articolo 24, comma 6, del predetto decreto-legge n. 201 del 2011, l'amministrazione dovrà valutare se la prosecuzione del rapporto di lavoro fino al compimento dei 70 anni di età (oltre all'adeguamento alla speranza di vita) consentirebbe il conseguimento del requisito contributivo. In caso affermativo, l'amministrazione dovrà proseguire il rapporto di lavoro al fine di raggiungere l'anzianità contributiva minima. In caso contrario, l'amministrazione dovrà risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro.

Le amministrazioni programmeranno per tempo le opportune verifiche con l'ente previdenziale, per conoscere e valutare la situazione contributiva complessiva del dipendente e adottare le misure conseguenti.

2.3.2. Il regime speciale dei dirigenti medici e del ruolo sanitario

Per i dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale continua a trovare applicazione il regime speciale previsto dall'articolo 15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, modificato dall'articolo 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183. Il comma 1 del citato articolo individua il limite massimo di età per il collocamento a riposo di questi soggetti, inclusi i responsabili di struttura complessa, al compimento del sessantacinquesimo anno di età, ovvero, su istanza dell'interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo, in ogni caso con il limite massimo di permanenza del settantesimo anno di età.

Continua quindi a valere per tutti i dirigenti medici e del ruolo sanitario (dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica) la possibilità, previa istanza, di permanere in servizio oltre i sessantacinque anni di età per raggiungere i 40 anni di servizio effettivo, purché non sia superato il limite dei 70 anni di età. Come previsto dalla citata disposizione, l'amministrazione potrà accordare tale prosecuzione a patto che la permanenza in servizio non dia luogo ad un aumento del numero dei dirigenti. In questo caso, la prosecuzione del rapporto non costituisce un trattenimento in servizio, ma l'applicazione di una specifica disciplina del limite ordinamentale per il collocamento a riposo.

Anticipando quanto meglio specificato in seguito, occorre tuttavia segnalare che, salvo che si tratti di dirigente di struttura complessa, sulla volontà del dirigente di proseguire il rapporto di lavoro fino al quarantesimo anno di servizio effettivo e oltre il sessantacinquesimo anno di età può prevalere l'esigenza dell'amministrazione di risolvere unilateralmente il contratto secondo la disciplina contenuta nell'articolo 72, comma 11, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modifiche dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.

3. La risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro

3.1. Le novità della disciplina

Come già osservato, in sede di conversione del decreto-legge n. 90 del 2014, è stato riformulato l'articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, che disciplina la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro.

Rispetto al testo previgente, la disposizione non pone più un limite temporale di vigenza (precedentemente fissato al 31 dicembre 2014); la risoluzione unilaterale diviene quindi un istituto utilizzabile a regime dalle pubbliche amministrazioni. La nuova disciplina contiene elementi di novità inerenti all'ambito di applicazione, ai presupposti e alla procedura.

Per quanto riguarda l'ambito di applicazione, viene ampliata la platea delle amministrazioni che possono procedere alla risoluzione unilaterale del rapporto. Infatti, oltre alle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, vengono incluse anche le autorità indipendenti. In base alla nuova disposizione, in presenza dei relativi presupposti, la risoluzione unilaterale del rapporto può essere esercitata nei confronti di tutte le categorie di dipendenti possibili destinatari della pensione anticipata disciplinata dall'articolo 24, commi 10 e 12, del menzionato decreto-legge n. 201 del 2011. Rimangono pertanto fuori dal campo di applicazione dell'istituto le categorie di personale regolate da regimi di accesso al pensionamento speciali, soggetti all'armonizzazione ai sensi del comma 18 del citato articolo 24, come il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico.

Per quanto riguarda i presupposti, mentre il testo previgente faceva riferimento al requisito della massima anzianità contributiva di 40 anni, il nuovo riferimento richiama il requisito contributivo aggiornato per il conseguimento della pensione anticipata, come disciplinato dall'articolo 24, commi 10 e 12, del decreto-legge n. 201 del 2011. Tuttavia, il recesso unilaterale non può avere luogo se a causa della risoluzione il dipendente subirebbe le penalizzazioni previste dal già citato articolo 24, comma 10, tenendo conto di quanto previsto dall'articolo 6, comma 2-quater, secondo periodo, del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216, convertito con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14, come modificato dall'articolo 1, comma 113, della legge 23 dicembre 2014, n. 190. Pertanto, a decorrere dall'anno 2014, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro può trovare applicazione nei confronti dei lavoratori che maturano 42 anni e 6 mesi di anzianità contributiva e compiono 62 anni di età e delle lavoratrici che maturano 41 anni e 6 mesi di anzianità contributiva e compiono 62 anni di età (articolo 24, commi 10 e 12, del decreto-legge n. 201 del 2011, citato; decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 6 dicembre 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 289 del 13 dicembre 2011), salva l'applicazione dei successivi adeguamenti alla speranza di vita su requisito contributivo. Non è più possibile, dunque, procedere in regime ordinario alla risoluzione unilaterale nei confronti dei dipendenti che compiono i 40 anni di anzianità contributiva (tranne che nel caso di ricorso ai pensionamenti in deroga per soprannumero, per i quali continuano ad applicarsi le disposizioni anteriori al decreto-legge n. 201 del 2011).

I dipendenti che hanno maturato il requisito di accesso al pensionamento entro il 31 dicembre 2011 rimangono soggetti al regime di accesso al pensionamento previgente (anche in applicazione dell'articolo 2, comma 4, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101). È il caso di coloro che entro tale data hanno maturato la quota 96. Anche dopo la data di entrata in vigore della novella (19 agosto 2014), nei confronti di questi dipendenti l'amministrazione può esercitare il recesso al raggiungimento del limite ordinamentale, nonché al conseguimento del requisito dell'anzianità contributiva di 40 anni di servizio (infatti, la nuova norma non ha abrogato il comma 20 dell'art. 24 del citato decreto legge n. 201 del 2011, che contiene il richiamo all'art. 72, comma 11, del decreto legge n. 112 del 2008 nel testo previgente la recente modifica).

Per quanto riguarda infine la procedura, la nuova formulazione della disposizione rende esplicita la necessità che la decisione sia motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati. In ogni caso, ai fini del rispetto dell'obbligo di motivazione appena menzionato, si segnala che ai sensi dell'articolo 16, comma 11, del decreto-legge 98 del 2011, convertito in legge n. 111 del 2011, l'esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni "non necessita di ulteriore motivazione qualora l'amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto degli organi di controllo". A queste condizioni, ai fini dell'adempimento dell'obbligo di motivazione, l'avvenuta adozione di tale atto consentirà alle amministrazioni di risolvere il rapporto di lavoro richiamando i criteri in esso contenuti purché dai suddetti criteri applicativi emergano le scelte organizzative dell'amministrazione. Nel definire i criteri le amministrazioni valuteranno se prevedere soluzioni di armonizzazione tra uomini e donne, riguardo al momento di adozione della risoluzione unilaterale del rapporto, al fine di scongiurare casi di discriminazione di genere in relazione al diverso requisito di anzianità contributiva richiesto.

Rimane invariato il termine di preavviso per il recesso, che anche la nuova disposizione stabilisce in 6 mesi. Il recesso può essere anche comunicato in anticipo rispetto alla realizzazione dei relativi presupposti.

3.2. Regimi speciali.

L'ultima parte del nuovo testo dell'articolo 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008 prevede alcune categorie di personale alle quali la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro non si applica o si applica con salvaguardia.

È mantenuta l'esclusione per i magistrati e i professori universitari, che viene estesa ai dirigenti di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale, tra i quali sono compresi sia i dirigenti medici che quelli sanitari a cui è affidata responsabilità di struttura complessa (per la categoria dei dirigenti sanitari, si veda l'articolo 1 del contratto collettivo nazionale di lavoro, area della dirigenza dei ruoli sanitario, professionale, tecnico ed amministrativo del Servizio sanitario nazionale, quadriennio normativo 2002/2005; si tratta dei dirigenti delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione e della professione di ostetrica), come già indicato nel paragrafo 2.3.2..

Per i dirigenti medici e sanitari di struttura complessa, quindi, continua a trovare applicazione il regime speciale di cui all'articolo 15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, come modificato dall'articolo 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183. Per essi, pertanto, perdura la facoltà di proseguire il rapporto superando il limite dei 65 anni su istanza dell'interessato, fino al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti.

Per quanto riguarda, invece, i dirigenti medici e del ruolo sanitario ai quali non è affidata la responsabilità di una struttura complessa, le amministrazioni possono applicare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro una volta maturati i nuovi requisiti contributivi per l'accesso alla pensione anticipata, purché dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età. Questi medici possono comunque presentare istanza di proseguire il rapporto di lavoro fino al compimento del quarantesimo anno di servizio effettivo (sempre che tale prosecuzione non comporti un aumento del numero dei dirigenti) ai sensi dell'articolo 15-nonies del citato decreto legislativo n. 502 (che riguarda i "dirigenti medici e del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa"). L'amministrazione potrà tuttavia non accogliere l'istanza stessa ove decida di procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro, anche in relazione ai criteri adottati per l'utilizzo della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, tenendo presenti le esigenze organizzative e funzionali e rispettando la parità di trattamento, anche per evitare l'indebita lesione dell'affidamento degli interessati.

Roma, 19/2/15

IL MINISTRO PER LA SEMPLIFICAZIONE E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Maria Anna Madia

Chiarimenti sulla circolare DFP n. 2 del 2015

Comune di Brescia

Settore risorse umane

Servizio stipendi e pensioni

Piazza Loggia 3, 25121 Brescia

protocollogenerale@pec.comune.brescia.it

Oggetto: chiarimenti sulla circolare DFP n. 2 del 2015 - Impatto dell'art. 1, comma 113, della legge di Stabilità 2015.

Si fa riferimento alla e-mail del 23/02/2015 con la quale si chiedono chiarimenti in merito alla circolare in oggetto. In particolare, si chiede quale sia l'impatto dell'art. 1, comma 113, della l. n. 190 del 2014 (legge di Stabilità 2015) sulla nuova formulazione dell'art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008, prevista dall'art. 1, comma 5, del d.l. n. 90 del 2014, convertito in l. n. 114 del 2014.

Preliminarmente, si rappresenta che l'art 1, comma 5, del citato d.l. n. 90 riscrive l'art. 72, comma 11, del d.l. n. 112 del 2008 e prevede la possibilità per le amministrazioni di utilizzare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro come strumento a regime nei confronti del personale soggetto alla nuova disciplina pensionistica a decorrere dal compimento del requisito contributivo per la pensione anticipata (per il 2015: 42 anni e 6 mesi per gli uomini e 41 anni e 6 mesi per le donne e per il triennio 2016-2018: 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne - cfr. circolare INPS n. 63 del 20/03/2015), purché il dipendente non abbia un'età anagrafica che possa farlo incorrere in penalizzazioni sull'importo della pensione. Infatti, il citato art. 1, comma 5, dispone: "Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1ogennaio 2012 dall' articolo 24, commi 10 e 12, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 , risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'articolo 24.".

Come noto, è poi intervenuta la l. n. 190 del 2014 (legge di Stabilità 2015) che all'art. 1, comma 113 ha previsto: "Con effetto sui trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015, il secondo periodo del comma 2-quater dell' articolo 6 del decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 , convertito, con modificazioni, dalla legge 24 febbraio 2012, n. 14 , e successive modificazioni, è sostituito dal seguente: "Le disposizioni di cui all' articolo 24, comma 10, terzo e quarto periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 , convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 , in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017".

Alla luce di quanto sopra, per effetto di quanto previsto nella legge di Stabilità 2015, nel triennio 2015-2017 non operano più le penalizzazioni previste dall'art 24, comma 10, del d.l. n. 201 del 2011, convertito in l. n. 214 del 2011, per quei dipendenti che accedono alla pensione anticipata prima del compimento dei 62 anni di età. Tali penalizzazioni opereranno di nuovo a partire dal 1° gennaio 2018, così come disciplinate nel citato art. 24, comma 10, fatto salvo il caso della maturazione del requisito della pensione anticipata entro il 31/12/2017.

A questo proposito, ad avviso dello scrivente è importante specificare che nel caso in cui il requisito contributivo per la maturazione del diritto alla pensione anticipata sia stato perfezionato in data antecedente all'1/01/2015 e il dipendente sia comunque rimasto in servizio in quanto la sua età anagrafica era inferiore ai 62 anni e quindi essere collocato a riposo avrebbe comportato penalizzazioni sull'importo della pensione, qualora l'amministrazione volesse esercitare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro potrebbe, con preavviso di 6 mesi, comunque esercitarla a partire dall'1/01/2015 a prescindere dall'età del dipendente, in quanto la norma contenuta nella legge di Stabilità 2015, come su specificato, prevede espressamente che le penalizzazioni non si applichino "Con effetto sui trattamenti pensionistici decorrenti dal 1° gennaio 2015". Con riferimento invece al caso in cui la maturazione dei suddetti requisiti avvenga entro dicembre 2017 anche con età inferiori a 62 anni, seppure la decorrenza dell'assegno di pensione ricade successivamente al 31/12/2017, a questi dipendenti non si applicheranno comunque penalizzazioni, in quanto la norma, come su riportata, esplicitamente dispone "Le disposizioni di cui all' articolo 24, comma 10, [...] , in materia di riduzione percentuale dei trattamenti pensionistici, non trovano applicazione limitatamente ai soggetti che maturano il previsto requisito di anzianità contributiva entro il 31 dicembre 2017.".

Ciò posto, in relazione alla possibilità per le amministrazioni di utilizzare la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro nei confronti dei dipendenti che abbiano raggiunto l'anzianità contributiva richiesta per il diritto alla pensione anticipata entro il 31 dicembre 2017, come sopra determinata, per il combinato disposto delle due norme in esame, esse potranno utilizzare tale risoluzione a prescindere dall'età del dipendente, in quanto non sono più previste penalizzazioni in questo arco di tempo sull'importo della pensione. Dovranno quindi riprendere a considerare il vincolo dei 62 anni di età per l'esercizio della risoluzione unilaterale per quei dipendenti che maturano i requisiti per la pensione anticipata a partire dall'1/01/2018.

IL DIRETTORE DELL'UFFICIO

Maria Barilà

 

Corte costituzionale, sentenze n. 33 del 2013

Dichiarazione di illegittimità costituzionale del combinato disposto degli articoli 15- nonies , comma 1, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), e 16, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei lavoratori privati e pubblici, a norma dell'articolo 3 della legge 23 ottobre 1992, n. 421) - nel testo di essi quale vigente fino all'entrata in vigore dell'art. 22 della legge 4 novembre 2010, n. 183 - nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che al raggiungimento del limite massimo di età per il collocamento a riposo non abbia compiuto il numero degli anni richiesti per ottenere il minimo della pensione, di rimanere, su richiesta, in servizio fino al conseguimento di tale anzianità minima e, comunque, non oltre il settantesimo anno di età. Nella giurisprudenza di questa Corte è ferma la distinzione tra la tutela della pensione minima e l'intangibile discrezionalità del legislatore nella determinazione dell'ammontare delle prestazioni previdenziali e nella variazione dei trattamenti in relazione alle diverse figure professionali interessate, nel senso che, mentre il conseguimento della pensione al minimo è un bene costituzionalmente protetto, altrettanto non può dirsi per il raggiungimento di trattamenti pensionistici e benefici ulteriori ( ex plurimis , sentenza n. 227 del 1997). Peraltro, Il problema della tutela del conseguimento del minimo pensionistico è strettamente connesso a quello dei limiti di età; la cui previsione è rimessa «al legislatore nella sua più ampia discrezionalità» (sentenza n. 195 del 2000), la quale può incontrare vincoli - sotto il profilo costituzionale - solo in relazione all'obiettivo di conseguire il minimo della pensione, attraverso lo strumento della deroga ai limiti di età ordinari previsti per ciascuna categoria di dipendente pubblico. Comunque, anche la suddetta deroga incontra a sua volta dei limiti fisiologici - definiti da questa Corte come «energia compatibile con la prosecuzione del rapporto» (sentenza n. 444 del 1990) - oltre i quali neppure l'esigenza di tutelare il bene primario in oggetto può spingersi. Nel corso del tempo, detto limite fisiologico si è spostato in avanti, anche grazie alla giurisprudenza di questa Corte, la quale è stata al contempo costante nel ribadire che il bene costituzionalmente protetto è solo quello che tutela il conseguimento del minimo pensionistico mentre non gode di analoga protezione l'incremento del trattamento di quiescenza (ordinanza n. 57 del 1992) o il raggiungimento del massimo ( ex plurimis , sentenza n. 227 del 1997 ed ordinanza n. 195 del 2000). Peraltro, all'univoco indirizzo descritto non ha fatto seguito un puntuale adeguamento delle diverse legislazioni di settore succedutesi nel tempo, per cui - anche nella normativa attualmente in esame riguardante i dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale, ivi compresi i responsabili di struttura complessa - la permanenza in deroga fino al settantesimo anno di età al fine del conseguimento del diritto minimo alla pensione non era contemplata. Ne consegue che, per questa parte il suindicato combinato normativo vigente al momento della cessazione dal servizio del dirigente sanitario di cui si tratta, risulta in contrasto con l'art. 38, secondo comma, Cost., nei termini dianzi detti. Viceversa, la modifica introdotta con l'art. 22 della legge n. 183 del 2010 risulta contenuta - sotto i profili evocati - entro i limiti della discrezionalità del legislatore in subiecta materia . Analogamente non sono costituzionalmente tutelati né un indiscriminato ed incondizionato diritto alla reintegrazione in servizio, senza alcuna considerazione delle esigenze organizzative dell'ente datore di lavoro né un diritto alla conferma nel medesimo incarico dirigenziale ricoperto dall'interessato all'atto della cessazione del servizio (laddove, ad esempio, venissero a mancare i requisiti oppure il posto di funzione non fosse più disponibile). Infatti, nell'ambito della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici i principi di buon andamento e di ragionevolezza di cui agli artt. 97 e 3 Cost. si realizzano di regola proprio attraverso la previsione di appropriati requisiti per l'accesso alle diverse funzioni dirigenziali, la coerenza tra dotazioni organiche ed assunzioni, il ragionevole bilanciamento tra tipi di funzioni attribuiti alle diverse figure professionali ed età-limite per il loro svolgimento.


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